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Clorigliano

23 settembre 2019

Clorigliano

di Cecilia Mangini


Il termine vacanza deriva dal latino “vacans” che per i romani SPQR significava vuoto, senza un bel nulla da fare o realizzare: già prussiani prima dei prussiani, per gli SPQR imprescindibile e appagante era il dover fare.

Per capire lungo i secoli quanto è cambiato il suo significato mi è bastato essere invitata a Corigliano per una vacanza carica di tutto, incontri, scoperte e divertimento: a cominciare da una fiera in piazza per zigzagare tra le bancarelle e comprare a prezzo molto ragionevole pantaloni e gonne colorate, dolci, formaggi, salami stagionati, mozzarelle, le collane di peperoncini rosso fuoco, la festosità delle terraglie colorate.

Seduti dentro una una specie di pagoda –sopra di noi un tetto ondulato e trasparente, sospeso in aria grazie a esilissimi tiranti–, l’aperitivo ci festeggia, e tutti allegri per i 18 gradi dei vini del Salento arriviamo in una terrazza panoramica, per un pranzo con lo sfoggio mare-terra della cucina meridionale, quella povera e quella dedicata solo alle feste consacrate, Natale sì, Pasqua pure, Festa della Repubblica il 2 giugno no.

Riposarsi è un mito: nel primo pomeriggio in una sala del castello di Corigliano si proiettano documentari, è l’anteprima di Cinema del reale che arriverà a metà luglio nel castello. “Respiri di pietra” è un primo approccio cinematografico con i monumenti megalitici venerati lungo la preistoria da popolazioni che cinque/sei millenni fa hanno affrontato il problema del sacro e dei suoi misteri. Leonello Bertolucci li ha fotografati  e raccolti in “Respiri di pietra”, un volume fotografico dedicato a quelli del Salento, i menhir e i dolmen, e sono tanti, sparsi in mezzo ai dirupi e agli oliveti.

Con un corteo di macchine ci conducono a vederli, a toccare con le dita la loro magia tra cielo e terra: basta appoggiare la palma della mano sulla loro base per sentire il tremito/respiro che il menhir capta dal cielo. Non volevo crederci, per scetticismo ho appoggiato la mia mano sulla pietra, la vibrazione mi è salita lungo il braccio e i millenni sono entrati in me.

Come gli obelischi, come i campanili delle chiese, come le colonne su cui abbiamo installato i santi nelle piazze e le statue che svettano sui basamenti, i menhir sono monumenti fallici. Non credevo che  esistessero monumenti consacrati ai genitali femminili: in questo viaggio li ho scoperti, sono stati loro a venirmi incontro, rocce possenti con una cavità centrale lucidata dal tocco di mani innumerevoli, inni di pietra alla donna e al sesso femminile, da cui è nata l’umanità e a nascere continua.

Ho provato ad appoggiare la mia mano in quella cavità lucente: il ciclo della vita, nascere, vivere, morire, è penetrato in me.

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