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Baciate i vostri mostri!

20 luglio 2017

Baciate i vostri mostri!

di Mimmo Pesare


Il mostro umano combina l’impossibile e l’interdetto.
(Michel Foucault, Gli anormali, 1975)


Scary monsters, super creeps.
Keep me running, running scared.

(David Bowie, Scary monsters, 1981)


L’accettiamo: una di noi!
L’accettiamo: una di noi!
Gooble, gobble! Gooble, gobble!
L'accettiamo! L'accettiamo!
Gooble, gobble! Gooble, gobble!
Una di noi! Una di noi!

(tratto dal coro di Freaks di Tod Browning, 1932)


I mostri sono l’archetipo dell’ombra. Non rappresentano tanto l’elemento maligno, diabolico, malvagio, quanto l’alterità che dimora in noi stessi. E che ci spaventa. La nostra ombra produce mostri, che nutriamo, allattiamo, facciamo crescere e poi nascondiamo, inconsapevolmente, sotto il letto, negli armadi, nelle soffitte.
I nostri mostri sono miracoli dell’ombra, sono la produzione artistica del nostro inconscio che terrorizza il nostro io.
Tema affascinante, quello del mostro e del mostruoso. Tema che da sempre solletica le nostre paure come il piccante solletica la lingua: è qualcosa che ci disturba ma che ci attrae, che pizzica ma dà piacere.
Il termine mostro ha in genere una connotazione negativa. Si associa, di primo acchito, a qualcosa di spaventoso, di deforme, di anormale. Che si tratti di arte, di folklore, di religione, di fiabe, di mitologia, di scienze umane, il mostro appare nella cultura umana come l’invitato non desiderato, il perturbante, come l’elemento problematico e tuttavia da sempre protagonista di ogni piccola o grande angoscia. E infatti la classificazione e la nomenclatura delle varie tipologie di mostri è numerosa e variopinta quasi quanto quella della zoologia, a vantaggio del nostro immaginario. Ma il mostro è sempre anche una miracolosa meraviglia (monstrum, dal latino monere, significa appunto, anche miracolo, prodigio, fenomeno): è ciò che rovescia l’ordine padroneggiabile delle cose.

Perché il mostruoso ci fa inorridire e allo stesso tempo ci affascina?
Probabilmente perché il mostro, in generale, non rispetta i confini, li ‘forza’.
Forza il confine tra l’identità e l’alterità, forza il confine tra il maschile e il femminile, forza il confine tra il normale e l’anormale, forza il confine tra l’umano e il bestiale, forza il confine tra la vita e la morte, forza il confine tra l’organico e l’inorganico.
Che si tratti di demoni, di mutanti, di orchi, di streghe, di esseri bestiali, di licantropi, di vampiri, di spettri, di zombie, l’elemento mostruoso ha da sempre acceso le fantasie e eccitato le paure dell’immaginario collettivo per il suo carattere di sconfinamento.
È il miracolo che genera meraviglia, che sovverte le regole della razionalità, della naturalità. In questo senso potremmo dire che, al di là dell’iconografia del deforme e dell’estetica del brutto, il mostro mette in evidenza l’eterno conflitto tra natura e cultura. Proprio perché il mostruoso rappresenta il cosiddetto “scherzo della natura”, esso si dispone automaticamente sul piano della cultura, ne fa parte integrante, con tutto il suo carico sovversivo. Perché costituisce la dimensione artistica, simbolica, umbratile del nostro inconscio. Il mostro sovverte la natura, ne sbeffeggia le regole, dimostra come l’elemento di fantasia (e quindi di cultura) possa prendersi gioco dell’elemento della necessità biologica (e quindi di natura).
I mostri costituiscono l’idea che l’anatomia non sia un destino: che il corpo è un incidente, un incidente di percorso e che l’identità lo trascende, ne fa quello che vuole. In questo senso molte storie di mostri reietti della società hanno in comune lo spleen, la smania del protagonista deforme, che si strugge nel suo desiderio di essere amato, accettato, che rivendica il suo diritto di potersi innamorare, di avere un legame sociale. Puntualmente, infatti, i delitti e le efferatezze dei mostri della letteratura e del folklore sono la conseguenza di un mancato riconoscimento (Frankenstein, Dracula, la Mummia, ecc.).
Il  mostro grida al mondo il suo lamento titanico, spesso autocompiaciuto, il suo fiero orgoglio di essere diverso, il suo malcelato e sottile piacere di spaventare i normali.
E il suo elemento è l’oscurità: la notte, il sogno, la vertigine dell’arte, della pittura, del cinema più claustrofobici e carsici.
Il mostro sconfina, spariglia le sicurezze, confonde le forme e soprattutto mette l’uomo faccia a faccia con le sue paure. Gli presenta il conto delle sue rimozioni, lo mette impietosamente di fronte allo specchio.
In ogni caso si tratta di una ri-scrittura, in termini fiabeschi o fantastici, di una paura che si trasfigura nell’abnorme, nel deforme. Tutta la letteratura fiabesca, ad esempio, mostra il carattere edipico della figura della strega, che da sempre spaventa i bambini in quanto è la trasfigurazione inconscia della madre-cattiva, che viene scissa dalla madre-buona del quotidiano e ricompare, nel suo carico di interrogativi e assenze, negli incubi infantili.
Siamo abitati dai nostri mostri, a partire dall’infanzia, non perché essi vengano scaraventati dall’esterno nelle nostre fantasie, ma perché essi ci vivono da sempre, essendo parti della nostra psiche. Il mostro è il ‘ritorno del rimosso’ della nostra cultura, della nostra formazione. È l’altro che ci abita, è l’estraneo che già da sempre è connaturato alla nostra identità.

Mai scacciare i mostri. Potreste privarvi di qualcosa di importante.
Baciate i vostri mostri: riceverete in cambio un piccolo miracolo: il re-incanto, il ritorno della meraviglia, così tarpata dal discorso rassicurante (e noioso) della ragione.

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