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Enrico Ghezzi e l'insoddisfazione

22 luglio 2013

Enrico Ghezzi e l'insoddisfazione

di Leonardo Gregorio e Marilù Ursi


INTERVISTA A ENRICO GHEZZI, IL PADRE DI BLOB


Come è cambiato Blob, soprattutto fare Blob, nel corso del tempo?

Blob − e questo è il suo principale difetto − è stato poco innovativo rispetto a se stesso, ma è fatale: Blob è una cosa talmente semplice, banale e intensa che non può che incoraggiarti a questo. In qualche modo, il meglio che tu possa fare è fermarti qui. Ho sempre detto che la sua qualità prima è di essere insoddisfacente, luogo dell’insoddisfazione; non può piacerci, non può essere bello, in sei-sette ore di lavoro facciamo le cose in corsa, anzi a occhi chiusi… è vero che sai già dove andare a parare, anche a cose che non hai visto, ma paradossalmente dovresti vedere tutto, ed è la promessa malcelatamente non mantenuta da Blob. Tutta la televisione è bella o bellissima, perché antropologicamente oltre. Questo è il paradosso di Blob, l’insoddisfazione. Ma va bene così, in un certo senso. 

 

Perché resiste ancora?

Per motivi psico-politico-quantitativo-economici. È un programma che costa pochissimo rispetto a qualsiasi cosa si cerchi di mettere alla stessa ora. Ed è anche l’unico a resistere in uno spazio in cui il programma dominante è, da molto tempo, Striscia la notizia − in un certo senso dello stesso genere −, e questo è molto importante. Un altro motivo di resistenza è quello dello sbattere la testa sempre contro lo stesso muro, soprattutto conto le stesse teste, gli stessi stomaci: il gruppo di Blob, non solo per pigrizia, è stato mantenuto più o meno integro. In realtà, già un anno dopo la sua nascita, avrei voluto fare il programma in un altro modo, un po’ alla maniera di The Cameraman di Buster Keaton, cosa che ha anche causato problemi con altri autori di Blob, come se fosse un tentativo di lesa maestà nei nostri stessi confronti. 

 

L’idea di un ‘contenitore anarchico di immagini’ e di una comunicazione fatta di frammenti sembra essere stata definitivamente sdoganata, e in questo Fuori Orario. Cose (mai) viste e Blob hanno dato un contributo importantissimo alla televisione Italiana. Riconosci dei programmi in particolare come legittimi eredi?

No, perché Blob e Fuori Orario sono stati fatti in una situazione di casuale ma fortissima, oggettiva coincidenza di intenti di un piccolo gruppo di persone. Oggi non ci sarebbe la libertà di farlo, oggi che tutto si basa sul piano della paura, della copertura, della par condicio, di tutte queste stronzate. Quando abbiamo cominciato c’era la Lega che arrivava dal nulla, la crisi e il crollo dei partiti di massa… noi, all’epoca di Angelo Guglielmi direttore di Rai 3 (1987-1994, ndr), abbiamo fatto quello che volevamo, delle cose folli. In quel periodo sono nati, per esempio, Un giorno in pretura di Roberta Petrelluzzi, un programma dirompentissimo, un film; poi, subito dopo, Chi l’ha visto?, un programma di fiction, e Blob, che è un programma di invenzione dell’esistente.

 

Anche Blob è una forma di found footage. Come ti spieghi la diffusione così massiccia di pratiche di riutilizzo d’archivio nel cinema degli ultimi decenni?

Ci sono diversi indizi di uso del found footage anche oltre quello che sembrerebbe inizialmente il voluto, il permesso. Penso, per esempio, a Materia Oscura di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, dove ci sono immagini che raramente hai visto e che, ripetendosi, ti suscitano ogni volta una domanda, le stesse domande. Ed è proprio il confronto con le immagini che ti fa recuperare l’ipotetica realtà. Di fronte a questo film mi sono sentito in qualche modo responsabile, ma al contempo felice, perché c’è l’abbandonarsi alla bellezza di una cosa trovata, alla forza delle immagini, alla loro ripetitività.

 

Il web, le nuove tecnologie e modalità di fruizione dei film sono una minaccia anche per le visioni Fuori Orario?

No. Può darsi che, evolutivamente, puntino già a un altro spettatore o che, comunque, questo sia il segno dell’insoddisfazione dello spettatore di adesso, che dovrà fare altro, vedere altro ecc. In un certo senso, però, Fuori Orario è vicino a questa nuova galassia, perché è abbastanza estremo, indipendentemente dalle scelte… certo, trovi dei registi e non altri. Registi che poi nell’insieme dipingono l’identità molto forte, in negativo o in positivo, di Fuori Orario. È interessante l’elenco dei film che abbiamo trasmesso. In quasi venticinque anni, personalmente avrò mandato in onda non più di tre-quattro film che avrei preferito non trasmettere e che sono stati inseriti non per motivi politici o di obbligo, ma perché ci servivano per quella notte lì. Nessun film indifferente, solo amati o molto belli.

 

Quale sarà il futuro di Fuori Orario?

Rispetto a Blob, Fuori Orario è ancora più legato alle persone che lo fanno. È una sorta di redazione molto omogenea, nonostante ci sia un gruppo di ‘antichi’ e un altro più giovane man mano costituitosi, con meno archivio nella testa; poi ogni tanto si sono aggiunti altri. La cosa principale è, però, la stessa di Blob, ossia un certo abbandono e una certa esagerazione, il far vedere troppo, notti di sette ore di film, questa avidità del durare. Ma quello che abbiamo fatto con Fuori Orario è, in un certo senso, l’opposto di Blob, che per me è un film infinito, sfinito, di millecinquecento ore; Fuori Orario, invece, il non stop, è come se portasse il film a essere, per così dire, attualità.

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